Niccolò Ugo Foscolo nacque sull'isola greca  di Zante, (nota anche come Zacinto: alla quale dedicherà  uno dei suoi 12 sonetti) il 6 febbraio del 1778,  figlio del veneziano Andrea Foscolo, medico di vascello, e della greca Diamantina Spathis (1747-1817). Ebbe  due fratelli e una sorella, tutti più giovani di lui: Giulio, Rubina  (1780-1867) e Gian Dionisio (detto Giovanni, 1781-1801). 
                        Il piccolo Niccolò (iniziò a soprannominarsi  Ugo dal 1795) proveniva da una famiglia patrizia che nel secolo XVI si era stabilita a Candia e, quando questa cadde in mano ai Turchi (1669),  si trasferì nelle isole Ionie, dominio veneziano dal XIV secolo sino alla caduta della Repubblica (1797). 
                        Del grande scrittore si sa che aveva un alto  concetto di sé nonostante la condizione materiale e sociale modesta. Nel corso  della sua vita fu sempre fedele ad alcuni ideali, come l'amore per la patria,  la libertà, la bellezza femminile, l'amicizia. Questi ideali furono come una  religione per lui che li chiamò "illusioni", dando a questa parola il  valore non di inganno ma di vera esigenza dello spirito. Fu membro della Loggia  Massonica Reale Amelia Augusta di  Brescia. 
                        Ugo Foscolo è il principale esponente  letterario del periodo, a cavallo fra Settecento e Ottocento, nel quale si manifestano o  cominciano ad apparire in Italia le correnti del Neoclassicismo, del  Preromanticismo e del Romanticismo. 
                        Costretto fin da giovane ad allontanarsi  dalla sua patria (l'isola greca di Zacinto, oggi Zante), si sentì esule per tutta la vita,  strappato da quel mondo di ideali classici in cui era nato. Errava di terra in  terra, privo di fede in quanto intellettualmente formatosi alla scuola degli Illuministi, incapace di trovare felicità nell'amore di una donna; avvertì sempre dentro di  sé un infuriare di passioni, ma, come molti intellettuali della sua epoca, si  sentì attratto dalle splendide immagini dell'Ellade, simbolo di armonia e di  virtù. 
                        Fu  un uomo illuminato da una scienza divina inesplicabile a lui stesso, tanto che  lo rese ateo e  tormentato dal suo  vagabondare stile di vita. 
                        Il  destino lo portò in terre straniere e da Bohemien girava per le strade coperto  con il suo solito cappotto verde. 
                        Eternamente  perso ed incantato dai mondani salotti dove giovani signore aristocratiche e  molto generose 
                        desideravano  la sua presenza e l’ascolto delle sue poesie. 
                        Vedeva  la femminilità in eterna adorazione tanto da paragonarla alla sua amata Zante, incantandoci con la sua poesia più famosa "A Zacinto".  
                        Né più mai toccherò le sacre sponde  
Ove il mio corpo fanciulletto giacque,  
Zacinto mia, che te specchi nell'onde  
Del greco mar da cui vergine nacque  
Venere, e fea quelle isole feconde  
Col suo primo sorriso, onde non tacque  
Le tue limpide nubi e le tue fronde  
L'inclito verso di colui che l'acque  
Cantò fatali, ed il diverso esiglio 
Per cui bello di fama e di sventura  
Baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.  
Tu non altro che il, canto avrai del figlio,  
O materna mia terra; a noi prescrisse  
Il fato illacrimata sepoltura.  
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